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La Resistenza nel Pinerolese
- G.L. e Garibaldini in Val Pellice
- Le bande G.L. della Val Germanasca
- Gli Autonomi in Val Chisone


Nella storia della storia della Resistenza, il Pinerolese, riveste una singolare peculiarità: quella di aver ospitato, in aree diverse, ma già a partire dai primi giorni dopo l’8 settembre, formazioni partigiane appartenenti ad aree ideologiche differenti: quella comunista, quella azionista e quella cosiddetta autonoma, proprio perché non rifacentesi ad una particolare collocazione politica. Stanziatisi sui monti che circondano Pinerolo, i partigiani, contrastarono, come vedremo, piuttosto efficacemente l’avversario, giungendo in alcune aree (Val Pellice e soprattutto Val Chisone), sebbene per brevi periodi, ad esercitare un controllo completo del territorio.
Una storia della resistenza pinerolese non può dunque essere scritta se non tenendo conto delle specificità che ognuna delle valli che gravitano sulla città subalpina rappresentò; specificità dovuta alla conformazione del territorio ed alle possibilità strategiche di ottenere aiuti dalla popolazione, ma soprattutto dalla storia e dalla cultura dei valligiani che decisero di combattere la guerra di liberazione dal nazifascismo, tra i monti che li avevano visti bambini.



G.L. e Garibaldini in Val Pellice

In Val Pellice i primi gruppi organizzati di "ribelli", tranne poche eccezioni, presero nome dalle borgate in cui trovarono rifugio e ospitalità all'inizio della loro esistenza. Nelle settimane successive all'8 settembre la principale attività di queste bande fu di recuperare, talvolta raggiungendo anche la vicina Val Po e la più lontana Val Varaita, quanto più materiale possibile dalle numerose caserme, casermette e polveriere abbandonate dall'esercito regolare.
Tra i gruppi più importanti che operarono in valle occorre ricordare quelli di Bobbio Pellice, di Villar Pellice e dei Chabriols. Il gruppo di Bobbio Pellice, comandato da Abele Bertinat e da Giovanni Gay "Gayot", ebbe la principale base d'appoggio a Serre di Sarsenà, borgata a nord di Bobbio Pellice. A Villar Pellice sorsero invece numerosi piccoli gruppetti: alla borgata Bess, allo sbocco del Vallone di Subiasco, e alla borgata Bodeina si riunirono due squadre sotto il comando di Enrico Barolin e, per un breve periodo, di Antonio Prearo "Capun". A Iraij era un altro gruppo al comando di Silvio e Alberto Baridon, mentre alla frazione Soura, all'inverso di Villar Pellice, un piccolo gruppo era comandato da Vittorino Giovenale e Ariolfo Charbonnier. Ancora: al Ciarmis, frazione allo sbocco del Vallone di Rospard, si costituì un gruppetto di contadini del luogo comandati da Enrico Bouissa "lou Maire", detto anche "Ricou del Ciarmis". Più a valle era il gruppo dei Chabriols, conosciuto come il "Ventuno", dal numero di elementi che lo costituì, guidato da Renato Poet "René", figura emblematica di comandante partigiano.
In Val d'Angrogna, alla Sea di Torre, sulla cresta divisoria con la Val Pellice, salì un gruppo di ex alpini comandati da Telesforo Ronfetto "Pot", affiancato poi da Mario Rivoir. Il gruppo del Sap - il più eterogeneo - detto anche banda "Rosselli", ebbe come suo primo rifugio la borgata Sabin, nel fondovalle della Val d'Angrogna, poco oltre Pra del Torno. Successivamente trasferì la propria base più in alto, appunto alla borgata Sap e poi al Palai, e il non facile comando fu affidato nei primi tempi a Sandro Delmastro, cui succedettero Alberto Salmoni, Antonio Prearo ed Enzo Gambina. Alle Case Bagnou, ai piedi del Monte Servin, si riunì il gruppo che - guidato da Paolo Favout - assunse un ruolo determinante nel corso della lotta partigiana: in esso militarono persone di solida formazione politica che avevano già svolto attività antifascista, ebbe funzioni di coordinamento tra le bande delle valli Pellice, Angrogna e Luserna, e contribuì in modo determinante alla nascita di gruppi partigiani nella vicina Val Chisone e, soprattutto, in Val Germanasca. Nella Val Luserna si erano intanto formati due gruppi: quello stabilitesi in località Ivert (Uvert), sopra Rorà, privo di una chiara collocazione politica e comandato da Lodovico Chiambretto "Gianni"; e quello di Valentino Martina "Tino", in un primo tempo al Colletto dei Rabbi e poi a Rorà. Il gran numero di gruppi e la loro eterogeneità crearono notevoli problemi di organizzazione e, in alcuni casi, persino di convivenza. Si comprese per presto che solo coordinando gli sforzi si sarebbe potuto ottenere il miglior risultato dalla lotta comune e si sarebbe guadagnata la fiducia della popolazione civile. In quest'ottica venne istituito un comando unificato, e tra discussioni e molti contrasti si individuarono alcune figure di riferimento: Roberto Malan, coadiuvato da Paolo Favout, svolse un'importante opera di collegamento e coordinamento, mentre, almeno agli inizi, il comando militare fu affidato all'avvocato Vincenzo Giochino, ex ufficiale di complemento. Ad unire ancor più i vari gruppi contribuì la costituzione di un'unica Intendenza, alla quale tutte le formazioni dovevano fare riferimento e dalla quale tutte dipendevano per la loro stessa sopravvivenza. Infine, altra questione assai delicata fu la scelta del progetto politico di fondo e cioè, detto in termini molto semplicistici, se lottare per salvare la monarchia o per far nascere una repubblica. Il dibattito fu vivace e, per quanto dato sapere, in Val Pellice si concluse a favore di uno stato repubblicano e di un rinnovamento in senso democratico della società. Divenne inoltre evidente l'importanza politica e militare di mantenere costanti collegamenti e rapporti di collaborazione con le formazioni operanti in zone limitrofe. Grazie alla mediazione di alcuni contrabbandieri, già negli ultimi mesi del 1943 vennero effettuati tentativi per stringere rapporti con i maquisard. Fu Barba David, 65 anni, probabilmente uno dei contrabbandieri più anziani della valle, a propiziare il primo incontro tra i partigiani della Val Pellice e i "ribelli" francesi al Colle dell'Urina: per la Val Pollice partecipò Abele Bertinat, il comandante del gruppo di Bobbio Pellice, e per i gruppi del Queyras il maquis Woehri, comandante della Gendarmerie di Abries. Durante i successivi incontri si perfezionarono i dettagli di reciproca collaborazione, utile soprattutto nei momenti di maggiore pressione nazifascista. Al settembre del 1943 risalgono i tentativi di collaborazione militare e politica anche fra i garibaldini della zona di Barge e le formazioni G.L. della Val Pellice. Le due formazioni si scambiarono commissari politici per diffondere le idee e sviluppare il dibattito tra le diverse posizioni politiche; così, Emanuele Artom fu inviato fra le bande garibaldine a portare il pensiero del Partito d'Azione mentre Dante Conte si recò fra i gruppi in Val Pellice a esporre i programmi del partito comunista. Poiché né l'uno né l'altro ebbero un gran successo, gli scambi vennero presto interrotti. Il primo dicembre del 1943 veniva intanto compiuta la prima azione militare in Val Pellice: l'assalto alla caserma di Bobbio Pellice, occupata dalla Milizia confinaria fascista. La Milizia però, grazie ai rinforzi inviati dai comandi di Pinerolo, respinse l'attacco dei "ribelli", catturò alcuni comandanti partigiani e ferì a morte Sergio Diena, della banda del Sap. Il destino volle che la lunga lista di morti in Val Pellice non si aprisse con un cattolico o con un valdese, ma con un ebreo: Sergio Diena morì il 2 dicembre 1943, a 24 anni, e venne insignito della medaglia d'argento al valor partigiano.
Sul finire del 1943 i partigiani garibaldini rifugiatisi sulle colline del Montoso furono investiti da un violento rastrellamento che provocò ingenti perdite. Per salvarsi, alcuni gruppi al comando di Vincenzo Modica "Petralia" ripararono in Val Luserna, dove poi si stabilirono definitivamente. A quel momento risale una sorta di suddivisione del territorio in due distinte aree: l'alta Val Pellice e la Val d'Angrogna alle bande di G.L, aderenti al Partito d'Azione, e la Val Luserna ai garibaldini. L'11 gennaio 1944 prese avvio il primo rastrellamento: una colonna di tedeschi, appoggiata da due aerei ricognitori, risalì la valle, furono bombardate le borgate di Sarsen e incendiate alcune case a Bessé, a monte di Bobbio Pellice. Forse informati da delatori, i tedeschi si accanirono in particolare sul Monte Castlus, perlustrandone minuziosamente il versante meridionale, a monte dei Coppieri e dei Chabriols. In effetti, lì si era rifugiato il gruppo del "Ventuno" che, per, evitò accuratamente qualsiasi contatto con il nemico. Sempre nel gennaio del 1944, mentre stava rientrando dalla Francia con un carico di contrabbando, un gruppo di quattro persone fu arrestato nei pressi del Prà. Tra essi anche due partigiani: Pietro Paolasso e Cesare Morel. I fascisti, pensando si trattasse solo di contrabbandieri, ne decisero il trasferimento a Pinerolo sotto semplice scorta di due militi e quattro carabinieri. Non appena si diffuse la notizia, un gruppetto composto da Sergio Toja, Dino Buffa, Gianni Mariani, Giovanni Nicola e Giulio Minetto si precipitò alla stazione di Luserna San Giovanni per salire sullo stesso treno dove già si trovavano i quattro prigionieri e la scorta. Alla stazione di Bibiana, Sergio Toja, armi in pugno, intimò la resa. Ne seguì una violenta sparatoria: Toja e due carabinieri rimasero uccisi, mentre i due militi fascisti e Mariani riportarono gravi ferite. Mariani continuò il viaggio fino a Pinerolo, quindi fu trasportato all'ospedale civile della città dove cessò di vivere il giorno successivo. Sergio Toja, cattolico, 20 anni, morì il 24 gennaio 1944: figura di spicco già prima dell'8 settembre e coraggioso comandante dell'Intendenza, il suo nome fu assunto dalla V divisione alpina G.L fino alla Liberazione; Gianni Mariani, valdese, 18 anni, morì il 25 gennaio 1944. Dopo la Liberazione, Toja verrà insignito della medaglia d'oro, Mariani della medaglia di bronzo. Nella seconda metà di gennaio le formazioni G.L. della Val Pellice decisero di trasferire parte degli uomini nella vicina Val Germanasca dove, almeno apparentemente, gli eventi seguiti all'8 settembre furono vissuti in modo distaccato. Le bande della Val d'Angrogna considerarono l'opportunità - politica e militare - di inviarvi propri uomini: a quelli del Bagnou si aggiunsero elementi provenienti dagli Ivert, dalla Sea e dal Sap.
Il trasferimento ebbe inizio il 25 gennaio: una quarantina di partigiani superarono la cresta che dal Gran Truc scende sul Colle Vacera e quindi la Costa del Lazzarà raggiungendo Turinetto, dove si accamparono per qualche giorno. Di lì proseguirono fino a Prali, neutralizzarono la scarsa guarnigione e vi si stabilirono definitivamente. A metà febbraio giunsero altri partigiani. L'operazione assunse dimensioni superiori al previsto e la bassa Val Pellice rischiò di rimanere priva di uomini: dopo il trasferimento in Val Germanasca, ben poco rimase dei gruppi del Bagnou, degli Ivert, del gruppo comandato da Tino Manina, di quello del Sap e di quello della Sea; la Val Luserna e la Val d'Angrogna si ritrovarono pressoché sguarnite: nella prima rimasero solo i garibaldini di "Petralia", la seconda venne presidiata da pochi uomini. Intanto, il primo nucleo in Val Germanasca venne posto al comando di Roberto Malan. Successivamente in Val Germanasca giunsero ancora altri gruppi, guidati da Paolo Favout "Poluccio", che diventerà comandante militare, prima di quella valle e della bassa Val Chisone, poi della brigata "Giustizia e Libertà" e, successivamente, della V divisione alpina G.L. "Sergio Toja". Nel frattempo, per la notte del 31 gennaio si decise un secondo attacco contro la caserma di Bobbio Pellice. Il migliore coordinamento e esperienza maturata permisero il successo dell'azione militare: gli aiuti giunti da Pinerolo furono bloccati a rio Cros, dove si combatté violentemente, e la caserma fu espugnata consentendo la cattura di una quarantina di prigionieri. Nei giorni successivi i nazifascisti si accanirono contro la popolazione con azioni di rappresaglia che terminarono solo con lo scambio, al Piano del Teynaud, dei militi fascisti catturati dai partigiani con i civili presi in ostaggio dai tedeschi.
Dopo l'attacco, i fascisti lasciarono di fatto sguarnita la valle nei comuni di Villar e Bobbio Pellice, ed ebbe inizio quel breve periodo in cui la Val Pellice visse l'esaltante esperienza di "Italia libera": la parte alta della valle, a monte di Santa Margherita, era stata liberata dall'occupazione nazifascista. Il periodo di tregua durò all'incirca un mese e mezzo, fino all'inizio dei rastrellamenti del marzo 1944 quando, alle prime luci dell'alba del 21, reparti di SS iniziarono a risalire le valli Pellice, Germanasca e Angrogna. Le formazioni G.L. in Val Pellice e quelle garibaldine in Val Luserna tentarono una disperata resistenza a Pontevecchio, alla Galiverga e a Villar Pellice, ma alla fine i partigiani ripiegarono in quota cercando scampo nei valloni laterali: i garibaldini in Valle Infernotto e in Val Po, le bande della Val Pellice nel Vallone di Subiasco e alla conca del Prà. Per queste ultime, l'unica possibilità di sopravvivenza fu quella di disperdersi in piccoli gruppi e cercare di nascondersi, sfruttando i luoghi naturali meno accessibili: i pertus (caverne, in genere di modeste dimensioni, con piccole aperture per comunicare con l'esterno), i bars (cenge, in genere difficilmente raggiungibili, poste nel mezzo di alte pareti rocciose; il più caratteristico sicuramente il Bars 'dia Tajola, posto sotto la cima del Monte Castlus, il quale proprio perché troppo conosciuto, non venne utilizzato e le barme (luoghi riparati sotto rocce strapiombanti), che già furono utilizzati dai valdesi ai tempi delle persecuzioni religiose, divennero i principali luoghi di rifugio anche per i "ribelli". Terminato il rastrellamento, il 16 aprile i reparti di SS stanziati a Bobbio Pellice lasciarono la valle. Il clima più disteso permise ai "ribelli" di costituire alcuni campi al Chiotas, alle Meisonette, alle Case Cassul, a Pian Pra, dove riorganizzare i gruppi. D'altra parte l'esperienza appena vissuta spinse ad abbandonare il progetto di liberare dall'occupazione nazifascista una porzione del territorio per la verificata impossibilità di riuscire poi a difenderlo. Si considerò invece l'opportunità di costituire una linea di difesa lungo le alture soprastanti Torre Pellice, con lo scopo di controllare da vicino i movimenti sul fondovalle e di garantire una certa libertà di movimento nelle zone più a monte. Tale linea si sviluppò lungo una direttrice che dalla Val d'Angrogna, attraversando la Val Pellice, si estese fino alla Val Luserna. Il fianco sinistro di questo schieramento fu disposto fra le località di Barf, Sea di Torre, Monte Castlus, Roccia Corp, Ciaplet, Vigna, Chabriois, per risalire quindi sul versante opposto della valle verso le cave Bruard, la Brus, Pian Pra e Rocca Roussa. Nell'estate del 1944 la situazione generale militare si era modificata su tutti i fronti, e all'orizzonte cominciò a delinearsi la disfatta dell'esercito tedesco. Nell'Italia centrale gli eserciti alleati stavano progressivamente guadagnando terreno e in giugno erano sbarcati sulle coste della Normandia, scendendo verso sud. Per i nazisti divenne di vitale importanza controllare tutti i valichi alpini per garantirsi la ritirata. Pertanto su tutto l'arco alpino occidentale i nazifascisti avviarono operazioni militari di vaste proporzioni per ritornare in possesso delle valli e controllare così le principali vie di comunicazione con la frontiera. Dal 20 luglio venne condotto un poderoso attacco in Val Chisone contro le formazioni autonome di Marcellin e le bande G.L. di Favout, a fronte del quale l’1 agosto, a Pian Pra, in Val Pellice, per alleggerire la pressione i comandanti "Barbato", "Romanino", Milan, Prearo e "Renato" decisero una comune azione di disturbo che prevedeva l'attacco alle caserme di Bibiana, Bricherasio e, eventualmente, di Cavour. L'operazione, iniziata nella serata del 3 agosto, non ebbe esito positivo: al contrario, diede inizio a un imponente rastrellamento che tra il 4 e il 10 agosto investì l'intera valle e la zona di Montoso. Il risultato, nonostante fosse stato in precedenza studiato un piano di difesa, fu il completo sbandamento del fronte partigiano: in quattro giorni i nazifascismi raggiunsero il Prà, e in quelli successivi un reparto di SS ucraine - i cosiddetti "mongoli" - si insediò a Villar e a Bobbio Pellice dimostrando nei rapporti con la popolazione ancor più ferocia e crudeltà degli stessi nazisti. Il nuovo quadro, con i tedeschi (dal settembre coadiuvati da alcuni reparti di alpenjaeger) a presidiare la testata della valle e i maggiori centri abitati per controllare saldamente e a qualunque costo le vie di comunicazione verso la Francia, determinò una svolta radicale nel modo di concepire la lotta partigiana. Per evitare ulteriori sofferenze alla popolazione civile, e per cercare di diminuire la presenza nazifascista, in Val Pellice non furono più intraprese operazioni militari e, per quanto possibile, si evitò ogni scontro con il nemico. La lotta si spostò dalle montagne alla pianura, si passò cioè da una guerra basata sull'occupazione territoriale a una guerra di guerriglia. Furono costituite squadre caratterizzate da rapidità di attacco e agilità di sganciamento per ritornare a nascondersi nella macchia: piccoli gruppi, rapidi e decisi, per audaci azioni di disturbo e di sabotaggio contro magazzini e depositi, strade e ferrovie, ponti, centrali elettriche e fabbriche di interesse militare. Dal gennaio 1945 questi gruppi di sabotatori si organizzarono nel GMO (Gruppo Mobile Operativo), unità composta da squadre trasferitesi in pianura della V divisione alpina G.L. "S. Toja" e della IX divisione G.L. Della prima entrarono a far parte la brigata Superga "B. Balbis", al comando di Bruno Cesan, la brigata Tanaro "G. Giayme", comandata da Gianni Bandioli, e la brigata Dinamite "G. Augello", proveniente dalla Val Germanasca e comandata da Adriano Lanzerotti, alle quali si unì il gruppo Celere "Aldo Brosio" della IX divisione. Il comando del GMO, che arrivò a contare oltre 1500 partigiani, fu affidato a elementi provenienti dalla Val Pellice: Riccardo Vanzetti, comandante, Giorgio Rolli, vicecomandante, Carlo Mussa, commissario di guerra, Marcello Paltrinieri, capo di stato maggiore. Nello stesso periodo la V Divisione Alpina G.L. “Sergio Toja” definì la sua struttura organizzativa. Il comando fu assunto da Paolo Favout “Poluccio”, con Roberto Malan commissario di guerra e Gino Ceccarini capo di Stato Maggiore. Essa fu composta da quattro brigate ciascuna a sua volta suddivisa in tre battaglioni. La Brigata Val Pellice "Peo Regis" comandante “René" Pöet e commissario di guerra Federico Balmas "Fredino", la brigata Val Germanasca "Willy Jervis" (comandante Giovanni Costantino e commissario di guerra Archimede Modenese "Medino"), la brigata Vigone "Dino Buffa" (comandante "Meo" Demaria e commissario di guerra Giulio Giordano) e la brigata Intendenza "Lino Dagotto" (comandante Bruno Vaglio). Alla fine del mese di marzo si ebbe poi l'unificazione del comando delle forze partigiane nel Corpo Volontari della Libertà. Il territorio fu suddiviso in zone e la V divisione alpina cambiò la denominazione in XLV divisione alpina G.L. rientrando sotto il comando della IV Zona. Quest'ultima si estendeva dalla Val di Susa alla Val Pellice e al suo comando fu posto Antonio Guermani "Tonino", con commissari di guerra Osvaldo Negarville per le formazioni garibaldine, e Roberto Malan per le formazioni G.L. Quest'ultimo, nel suo incarico di commissario di guerra della V divisione alpina, fu sostituito da Aldo Guerraz "Verdi". Frattanto, fin dal settembre del 1944 i partigiani rimasti in Val Pellice avevano iniziato a proteggere la popolazione civile contro i soprusi quotidiani dei nazifascisti appoggiando le giunte comunali clandestine e facendo rispettare le leggi e i regolamenti da queste emanati. Fino alla Liberazione in valle non si ebbero più scontri armati di una certa importanza, se non sporadiche scaramucce, atti di vile rappresaglia e incursioni di repubblichini. Nel marzo 1945 le truppe tedesche furono sostituite da tre compagnie di bersaglieri della divisione "Littorio" e da due compagnie di soldati austriaci, che proseguirono nell'opera di fortificazione della valle. Ma il temuto scontro con le truppe alleate, attestate al di là del confine, non avvenne e il 23 aprile le truppe dislocate in Val Pellice ricevettero l'ordine di abbandonare le posizioni. Durante la ritirata verso la pianura, ostacolata e rallentata dai partigiani, perse la vita la staffetta partigiana Jenny Cardon, sorpresa e catturata dai tedeschi durante uno degli ultimi combattimenti, poi decorata con la medaglia di bronzo. Il 26 aprile tutti i reparti tedeschi erano ormai concentrati tra gli Airali di Luserna San Giovanni e Torre Pellice, pronti ad abbandonare la valle; da parte dei "ribelli" si tentò ancora di negoziare la resa incondizionata, che venne comunque rifiutata. Il 27 aprile iniziò l'ultima battaglia. L'obiettivo dei partigiani era quello di tenere impegnati gli avversari e impedire loro di ripiegare su Torino per unirsi agli altri reparti. Durante tutta la giornata, le autocolonne nemiche furono colpite e disturbate dai colpi di mortaio da 81 mm dei "ribelli". La ritirata dei nazifascisti, incalzati sempre più da vicino dai garibaldini della Val Luserna e dai G.L. della brigata "Val Pellice", col trascorrere delle ore si trasformò in una fuga disordinata. Alle ore 21 del 27 aprile i partigiani ebbero ragione delle ultime resistenze ed entrarono in Torre Pellice: la Val Pellice era liberata.



Le bande G.L. della Val Germanasca

Incapace di dare origine ad un movimento resistenziale autonomo la Val Germanasca, cominciò a diventare oggetto d'interesse per le bande partigiane soltanto nel gennaio 1944 quando, alcuni ufficiali delle brigate G.L. della vicina Val Pellice (e tra questi Sergio Toja, Roberto Malan ed il col. Vincenzo Ciochino), non si recarono a Prali per studiare le possibilità di sfruttare la zona, assai impervia ed adatta alla conduzione della guerriglia in montagna. In realtà già alla fine dell'anno precedente, nel vallone di Pramollo, una specie di enclave racchiuso tra i corsi del Pellice e del Germanasca ed il basso bacino del Chisone, si era organizzata una piccola banda, composta da elementi locali e da patrioti provenienti dal gruppo del Bagnòou (cfr. introduzione storica alla val Pellice), che aveva attrezzato la propria base nei boschi che ammantano il valloncello della Gran Comba, discendente dal M. Gran Truc.
Se si dovesse fissare una data ufficiale per segnalare l'inizio della guerra di liberazione in Val Germanasca, tuttavia, bisognerebbe indicare il 25 gennaio 1944 in quanto, in questo giorno, una colonna di circa 50 patrioti, agli ordini di Poluccio Favout, si mosse dalla Val d'Angrogna (vallone tributario del Pellice), per prendere posizione a monte di Chiotti, nel valloncello di Riclaretto. Di qui, il gruppo effettuò alcune azioni andate a buon fine quali gli assalti ai presidi di Prali (Milizia) e di Perrero (Carabinieri) e si diede un'organizzazione per bande, dislocate in tutti i valloni tributari del Germanasca e nella valle Principale. In particolare, furono organizzate basi nella zona di Prali, ove si provvedeva anche ad addestrare le nuove reclute, a Perrero, a Comba Garino, mentre il Comando fu allestito presso le miniere di talco della Gianna, una specie di fortezza naturale ove la valle si restringeva notevolmente.
Per quanto meno illustre rispetto a quella della vicina Val Pellice, la storia della Resistenza in Val Germanasca fu contrassegnata dalla presenza di figure illustri quali i commissari politici Emanuele Artom e Jacopo Lombardini, catturati al Col Giulian nel marzo 1944 e Willy Jervis, membro del Comitato Militare Piemontese del Partito d'Azione e responsabile dei collegamenti tra il Comando della Val Germanasca e Torino. I primi due, dopo l'arresto, furono l'uno ucciso dopo inimmaginabili torture (Emanuele Artom, oltre essere partigiano era anche ebreo), l'altro inviato al lager di Mauthausen, ove morì di stenti pochi giorni prima della liberazione. Willy Jervis, invece, catturato all'inizio del marzo 1944, con materiale compromettente nei pressi di Bibiana, fu interrogato e torturato per mesi, fino a quando, il 5 agosto dello stesso anno, non venne fucilato ed esposto impiccato, come tragico monito alla popolazione, sulla piccola piazza di Villar Pellice; da lui prese il nome la Brigata G.L. della Val Germanasca.
Il 17 febbraio 1944, data particolarmente significativa per i valdesi (quasi tutti i partigiani della zona e della vicina Val Pellice erano protestanti) in quanto ricorda l'emancipazione che questi ottennero da Re Carlo Alberto nel 1848, i partigiani della Val Germanasca, effettuarono la loro azione più clamorosa. Agli ordini di Poluccio Favout, una cinquantina di uomini scese in bassa Val Chisone ed occupò tutti i villaggi compresi tra Perosa Agentina e Pinerolo. Dopo aver mandato a monte la cerimonia di giuramento dei carabinieri della R.S.I., distrutto le liste di leva dei vari Comuni e requisito viveri e medicinali, i partigiani si ritirarono in buon ordine, lasciando sul campo solo 2 morti, uccisi dai tedeschi giunti d'improvviso. Dopo aver subito alcuni rastrellamenti particolarmente duri come quelli della seconda metà di marzo e della prima metà di agosto 1944, dei quali fecero le spese anche parecchi civili, i partigiani della Val Germanasca intensificarono le loro azioni in pianura, ove era più facile disperdersi in caso di rastrellamento. Suddivisi in piccole squadre di circa 10 uomini, gli uomini della "Willy Jervis" operarono nella zona compresa tra i paesi di Campiglione, Fenile, Cavour, Vigone, Scalenghe, Vinovo e Piobesi, dislocati tra la prima e la seconda cintura torinese. Qui i partigiani, più che ad azioni mirate a colpire direttamente i nazifascisti, operarono sabotando installazioni industriali o ferroviarie, creando scompiglio tra le file nemiche e mettendo l'esercito occupante in seria difficoltà. In particolare vanno ricordate le azioni di sabotaggio delle linee ferroviarie Airasca-Saluzzo, nei pressi di Villafranca e Torino-Pinerolo, la distruzione di alcuni macchinari nelle officine R.I.V. di Pinerolo (dopo il bombardamento del gennaio 1943 la fabbrica era stata spostata in capannoni di fortuna a Pinerolo) ed il sistematico danneggiamento di tratti di strada, ponti, linee telegrafiche ed elettriche. La guerriglia in pianura vide i partigiani G.L. operare a stretto contatto con i Garibaldini di Petralia e Barbato, provenienti dalla Val Luserna e dalle valli di Barge e Bagnolo. I rapporti con questi patrioti non furono sempre "idilliaci", ma tutto sommato decisamente migliori rispetto alla fase in cui si combatteva lungo le vallate alpine. Qui, infatti, malgrado permanessero le divergenze politiche, non si trattava più di disputare il cibo e l'armamento con le bande dislocate nelle vicinanze, in quanto i lanci ed i rifornimenti erano egualmente distribuiti per tutti, grazie all'organizzazione capillare che il Comitato Militare Regionale Piemontese aveva saputo mettere in piedi.



Gli Autonomi in Val Chisone

I primi nuclei armati di resistenti, lungo il corso del Chisone, si organizzarono già dal pomeriggio del 9 settembre 1943, in seguito allo scioglimento del reparto del btg. alpino Fenestrelle di stanza nell'omonimo villaggio dell'alta valle. Attorno ad alcuni uomini di particolare carisma, quali il cap. Gros di Fenestrelle, Maggiorino Marcellin di Sestriere ed il parroco di Sestriere Borgata, don Bernardino Trombotto, si raccolsero alcuni alpini sbandati, che diedero vita ad un primo gruppo partigiano, che venne inizialmente denominato "Val Chisone". Subito il piccolo nucleo di armati si diede a rastrellare armi e munizioni, nelle innumerevoli casermette collocate lungo il crinale spartiacque Susa-Chisone e Susa-Guil, abbandonate dopo l'armistizio dai vari presidi della G.U.F. o dell'esercito regolare.
Contemporaneamente nella bassa valle, nella zona di Perosa Argentina, prende vita un altro cospicuo gruppo di patrioti, che trovò in Enrico e Gianni Gay, Enrico Pöet, Dario, Ezio e Mario Caffer i massimi animatori. Il primo rastrellamento nazista, interessò la zona di Prarostino, sulla prima collina pinerolese, ove si era organizzato un terzo nucleo di resistenti. Qui, il 20 ottobre, i tedeschi fecero le prime vittime e, nei giorni immediatamente successivi, essi riuscirono a sgominare l'intero C.L.N. di Pinerolo e ad arrestare un buon numero di partigiani nella zona di Roure (questi ultimi quasi tutti liberati dopo un periodo di detenzione alle carceri Nuove di Torino).
Queste drammatiche esperienze furono però il collante che portò all'unificazione delle varie bande costituitesi in valle, in particolare di quelle di Marcellin e dei fratelli Gay, che si fusero nella Divisione Alpina Autonoma "Val Chisone". Individuato il vallone del Bourcet come nascondiglio ideale, assai ben difendibile, i partigiani di Marcellin si acquartierarono a Chasteiran, villaggio dal quale, dopo una strenua difesa, furono costretti alla fuga verso la Val Troncea nel marzo 1944. Nella piccola vallata pragelatese i patrioti si riorganizzarono e, nel corso dell'estate di quello stesso anno, riuscirono addirittura a porre l'intero corso del Chisone e parte dell'alto bacino della Dora Riparia sotto il loro totale controllo. In questo breve ed effimero periodo, la valle fu totalmente isolata dal resto del paese grazie all'interruzione di numerosi ponti e di lunghi tratti di Statale; tra Perosa Argentina e Sestriere erano la 228° Compagnia di Enrico Gay, la 229° di Enrico Poet e la 231° di Ugo Enrico, che presidiavano rispettivamente la zona di Villaretto, quella del Colle delle Finestre ed il crinale che, passando per il Colle di Sestriere, si estendeva dal M. Sises al M. Fraiteve. Oltre ciò, gli Autonomi della val Chisone, presidiavano anche, con un plotone di guastatori al comando di Gianni Daghero, la linea compresa tra Cesana e Champlas du Col e con la 230°, 232° e la 233° compagnia, rispettivamente agli ordini di Fiore Toye, Luciano Beltramo ed Ezio Musso, lo spartiacque Susa-Chisone, dal M. Fraiteve fino al Colle delle Finestre. Nel periodo in cui la valle fu amministrata dai partigiani (libera Repubblica della Val Chisone, la definisce Maggiorino Marcellin nel suo libro: "Alpini.... finché le gambe ci portano") il numero di patrioti che operava nella zona crebbe fino a raggiungere il numero di 1700 unità, ponendo al comando seri problemi di vettovagliamento e di armamento.
Nel luglio 1943 la zona libera cominciò a subire i primi assalti da parte di reparti nazifascisti. Inizialmente, l'urto fu ben contenuto, anche in virtù delle poche bocche da fuoco che i partigiani possedevano (un pezzo da 149 ed uno da 157/32 postati sul M. Banchetta, due cannoncini anticarro collocati all'imbocco della valle, mortai da 81 ed alcune mitragliatrici pesanti). Dopo un primo assalto fallito, diretto verso il M. Triplex, lungo crinale Susa-Chisone, il nemico salendo da Sauze d'Oulx, prese di infilata il settore compreso tra il M. Genevris ed il M. Moucrons, sul lato sinistro orografico del Chisone. Anche in questo caso i difensori riuscirono ad avere la meglio, ma le quote presidiate furono prese e riconquistate a più riprese, con perdita di uomini ed armamenti. Fu questa una prima avvisaglia di ciò che sarebbe successo pochi giorni dopo: fra il 3 ed il 5 agosto entrarono in scena, l'aviazione e l'artiglieria. Un caccia tedesco, infatti, mitragliò Fenestrelle, Usseaux e Pragelato, facendo addirittura 5 vittime tra la popolazione civile, mentre un violentissimo bombardamento, sul versante di Val Susa, ove operava un treno blindato, scompaginò le postazioni partigiane del Moucrons. Su questa quota, un proiettile d'artiglieria centrò la piazzola su cui era installata una mitragliatrice pesante, uccidendo alcuni patrioti, fra i quali il perosino Sergio Stocco. L'1 agosto, intanto, la fanteria tedesca, dopo aver scelto Perosa Argentina come base operativa, aveva attaccato senza successo, con manovra a tenaglia, le Valli Chisone e Germanasca aggredendo i presidi partigiani di Villaretto e Mentoulles; in questa azione persero la vita i fratelli Dario ed Ezio Caffer che, per quanto feriti, rimasero alla mitragliatrice fino allo stremo delle forze.
Costretti al ripiegamento verso la val Toncea gli Autonomi di Marcellin abbandonarono il crinale Susa-Chisone il 5 agosto, raggiungendo dopo breve marcia la più sicura Val Troncea. Questo, ovviamente, significò l'abbandono della zona libera in mano nemica ed il ritiro della linea difensiva verso le più arretrate posizioni dello spartiacque Susa-Guil, dalle quali per altro i partigiani furono rimossi, dopo una strenue difesa del Col Mayt e del Pic Charbonnel, nell'ottobre dello stesso anno.
Il periodo che va dall'autunno 1944 alla liberazione fu drammatico ed assai travagliato: sorpresi ed accerchiati in una baita isolata nei boschi di Cantalupa, il 4 novembre, un nucleo di armati del "Val Chisone" al comando di Adolfo Serafino, cadevano dopo una accanita difesa della posizione. E' questo l'episodio più famoso e drammatico, tra i molti accaduti nelle valli pinerolesi, l'ultimo importante fatto d'armi che precedette la discesa a valle dei partigiani ed il loro dispiegamento nelle campagne che circondano Pinerolo e nei paesi della prima cintura torinese. Il bilancio conclusivo della guerra partigiana in val Chisone conta più di 200 morti fra gli Autonomi, di cui ben 27 ufficiali.